- Vivere il presente con lo sguardo attivo sul futuro
E’ molto importante stare nell’oggi, ma con uno sguardo sul domani. Un rischio, infatti, che possiamo correre è quello di subire il futuro o di andare avanti in modo passivo, lasciando che sia il tempo a decidere per noi. Non possiamo lasciare che il domani ci “rovini” addosso o ci trovi addirittura impreparate. Guai se andassimo avanti un po’ a casaccio, tipo “finché la barca va, lasciala andare”, senza porci obiettivi personali e comunitari, senza lasciarci interpellare dalla vita ecclesiale e sociale. Così facendo, finiremmo col confondere l’abbandono alla volontà di Dio con il nostro passivo restare in attesa che qualcosa cambi...
Siamo invece chiamate a “creare” questo futuro, per quanto possa dipendere da noi, in modo attivo e costruttivo, avere uno sguardo profetico, capace di capire cosa ci chiede, cosa questo tempo ci suggerisce di lasciare senza attendere di esserne poi costretti. Il papa in molte occasioni ci ha chiesto di diventare profeti di speranza: non significa indovinare il futuro o predire cosa ci attende, ma essere uomini e donne spirituali che hanno imparato a discernere le vie di Dio nella storia di ogni giorno.
- Non preoccuparci troppo della nostra sopravvivenza
Spesso gli istituti religiosi sono troppo ripiegati su di sé, preoccupati della loro sopravvivenza e dei loro numeri. Questa paura può considerarsi “pagana”, perché troppo autoreferenziale e centrata su se stessa, tipica di chi è depresso. Il problema sotteso a questo rischio è che ci siamo troppo spesso illusi di essere degli istituti immortali, ma non è così. Quello che conta non è quanto vivrà il nostro Istituto o se nel 3000 d.C. ci saranno ancora le Suore Francescane Missionarie d’Egitto, quanto piuttosto comprendere come muoverci in questo oggi che stiamo vivendo, senza rimpiangere tempi passati e senza la paura del tempo o della cultura in cui siamo immerse. Dovremmo preoccuparci più degli altri e della loro salvezza, che non della nostra sopravvivenza.
Facciamo attenzione a non scorgere in questo mondo solamente il male o le minacce, come se la storia stesse andando verso uno smarrimento totale: perderemmo di vista il senso più profondo dell’incarnazione di Dio nella storia, in ogni storia e in ogni tempo e della redenzione offerta da Cristo ad ogni uomo.
- Intessere rapporti positivi e carichi di benevolenza
Siamo chiamate ad amare questo mondo, gli uomini e le donne di oggi; siamo tenute ad avere quasi un “pregiudizio esplicitamente positivo” verso la nostra terra, mai negativo, di rifiuto o di condanna e nemmeno di ingenua compiacenza, a causa della quale diventeremmo incapaci di scorgere anche il male presente.
Noi consacrate dovremmo divenire ogni giorno sempre più esperte della ricerca del Divino nell’umano e così accompagnare i nostri fratelli all’incontro con Cristo.
- Essere convinte della presenza del bene
I cristiani e, in particolare i consacrati, dovrebbero essere profondamente convinti che nel mondo ci sono potenzialità positive e intuizioni feconde di bene. Dovremmo impegnarci, alla luce di questa convinzione, a capire bene i valori presenti nella nostra società, perché è molto più facile scorgere le cose che non vanno e lamentarcene, mentre è più faticoso affinare la vista e cogliere i segni di bontà, i varchi aperti verso l’avvento del Regno, i segni dei tempi. Si tratta spesso di segnali non evidenti, in germe, minuti... che solo le persone attente e impregnate di Parola sono in grado di cogliere.
- Non aprire le porte al pessimismo e alla lamentela
Questa è una sfida importante perché ci invita a credere nell’uomo e nel domani. Dobbiamo evitare nel modo più categorico di diventare pessimisti, gente che si lamenta sempre, profeti di malasorte: se non poniamo attenzione a questa tendenza molto diffusa, finiamo col divenire dei perenni nostalgici del passato o, peggio, degli arrabbiati con il presente, delusi da tutto e da tutti.
Impegniamoci piuttosto ad imparare la lingua parlata oggi, per diventare comprensibili nell’annuncio del Vangelo, affinché la nostra testimonianza risulti incisiva e la Buona Notizia faccia breccia nel cuore di chi ci ascolta. Così facendo anche i nostri carismi, nati secoli fa, smetterebbero di essere semplicemente imbalsamati e conservati nei nostri archivi e diventerebbero sorgenti di acqua viva per la sete di Eterno, presente nel nostro oggi. Un vero evangelizzatore può dunque essere definito “bilingue”, perché conoscitore del Vangelo e allo stesso tempo conoscitore dell’uomo di oggi, nella cui lingua vuole fare la fatica di esprimersi, per dire Chi ha conquistato il suo cuore: doppia lingua, come doppia è la passione che lo spinge, per Dio e per l’uomo.
- Dare qualità alla vita spirituale
Il consacrato non è una persona perfetta e impeccabile; semplicemente sa che la ricerca di Dio, se è sincera, passa anche attraverso il dubbio, l’incertezza, la lotta. A volte, l’uomo di fede a può persino percepire l’assenza di Dio, nel Suo silenzio tanto misterioso... Se c’è questa consapevolezza, si diventa degli esperti nel riconoscere anche quella sottile nostalgia di Dio che è spesso nascosta e mascherata nel cuore degli uomini. Non si tratta dunque di vivere in modo perfetto e privato il nostro rapporto con Dio, la fede non è qualcosa di intimistico, ma occorre darsi da fare per aiutare chi ci circonda a riconoscere la via lungo la quale Dio stesso può venire incontro.
Diventiamo delle persone spiritualmente in gamba non perché serie e immacolate, o perché restiamo tutto il tempo in ginocchio, ma perché capaci di entrare in relazione con i fratelli e con Dio. Il dono più grande che possiamo fare alle persone è far loro riconoscere quel Dio che li aspetta ad ogni angolo della strada e che soprattutto, come diceva sant’Agostino, li attende dentro la loro anima, quale Sorgente di vita piena e letizia perfetta.